Resta
difficile comprendere come mai le autorità religiose di Parigi si accanissero contro
il Catalano per via di quel trattato sulla venuta dell’Anticristo.
Era infatti comune, nel medioevo, trovare di questi scritti dal carattere apocalittico,
che cioè preconizzavano la fine dei tempi: le Profezie di Malachia, alcune opere di Gioacchino da Fiore o anche il meno noto Libro delle immagini dei papi sono solo alcuni esempi.
Le strade e le piazze delle città
erano percorse da predicatori raminghi che annunciavano la fine del mondo, e
nessuno si dava troppo disturbo per loro; al contrario, si riteneva che per gli uomini
fossero vantaggiosi simili idee, perché il pensiero di dover presto rispondere
a Dio per i propri peccati potesse ispirare il desiderio della conversione e
della penitenza.
Eppure, Arnaldo il Catalano fu gettato in prigione per il suo "Trattato sulla venuta dell'Anticristo", un'opera che, vagliata in seguito dalla Santa Sede, non rivelò di contenere nessuna idea eretica.
Dietro
suggerimento di personaggi francesi importanti, fra i quali sorprendentemente
troviamo Guglielmo Nogaret (allora solo un avvocato di grido vicino
all’ambiente di corte), il Catalano chiese di appellarsi al papa:
Desidero in effetti sottoporre la mia opera
sulla venuta dell’Anticristo all’esame e al giudizio della Sede Apostolica, e
mi pongo sin da ora sotto la sua protezione.
(da
A. Paravicini Bagliani, Bonifacio VIII,
Torino, Einaudi, 2003)
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