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Monday, 4 August 2014

Filippo il Bello e l'Oro



Benché il Catalano fosse per i colleghi parigini un avversario molto temibile, difficilmente i grandi professori sarebbero riusciti, con le sole loro forze, a ottenere una persecuzione contro di lui.

Il punto cruciale della vicenda di cui fu vittima è il re, Filippo IV detto il Bello, un uomo apparentemente invisibile e assente quanto un fantasma, che in realtà pilotava ogni singolo aspetto della vita del suo regno restando sempre dietro un paravento fatto di etichetta di corte, e schermato da una folla di ministri. 

Ma perché Filippo il Bello avrebbe dovuto prendersi la briga di perseguitare un maestro universitario, fra l'altro medico di eccezionale bravura? 

Non poteva al contrario servirsi dei suoi prodigiosi uffici?

La risposta a tale domanda è molto difficile da formulare; sappiamo infatti che dopo il grave incidente che lo portò via da Parigi, Arnaldo scrisse a Filippo il Bello. 

La lettera trattava diversi argomenti, fra i quali anche la questione del processo ai Templari. 

Allora i loro rapporti non si erano guastati in modo irrimediabile?

Per capire la dinamica dello strano evento occorso nel 1299, bisogna ritornare a quella attività di alchimista alla quale il Catalano si dedicava con molta discrezione, quasi in incognito. 

E bisogna ritornare alla Sostanza Fondamentale, ciò che nel linguaggio alchemico è detto "Oro Superno".

Invidie velenose


Arnaldo da Villanova era sicuramente un ingegno geniale dotato di un'intuizione al di fuori del comune; senza volerci spingere fino al punto di credere che avesse davvero il dono della profezia, possiamo affermare con certezza che precorreva i tempi rispetto agli altri intellettuali della sua epoca. 

Abbiamo già rilevato come praticasse la disinfezione dei ferri chirurgici, dell'ago e del filo di seta per ricucire le ferite, e che usasse lavare le ferite stesse con l'aguardiente, cioè l'acquavite, che pochissimi al suo tempo sapevano distillare e che egli aveva imparato a produrre dalla cultura araba. 

Ma i suoi scritti medici rivelano anche altri dettagli di insospettata modernità: ad esempio, il saggio consiglio di lavare i piedi molto spesso e così pure la testa, se uno vuol vivere in salute. Non erano abitudini così diffuse, nel medioevo.

La sua eccellenza in campo medico può sicuramente avergli attirato addosso veementi invidie, specie a Parigi, dove l'università era potentissima e i maestri formavano una casta che era in grado di imporre i propri desideri al sovrano in persona. 

Sotto il regno di Luigi IX, infatti, c'era stato un violento screzio fra il sovrano e i doctores, i maestri avevano compiuto un atto di secessione abbandonando la città per trasferirsi al sud, presso Orléans, dove minacciavano di restare dando quindi corpo a un altro ateneo concorrente. 

Parigi entrò in una seria crisi economica, perché la città traeva enormi ricavi dalla presenza degli studenti venuti per frequentare la sua prestigiosissima università.

L'invidia velenosa dei colleghi fu sicuramente un movente importante nell'innesco dell'attacco ai suoi danni; ma fu il solo?

Saturday, 26 July 2014

Perché Arnaldo da Villanova fu perseguitato?



Resta difficile comprendere come mai le autorità religiose di Parigi si accanissero contro il Catalano per via di quel trattato sulla venuta dell’Anticristo.

Era infatti comune, nel medioevo, trovare di questi scritti dal carattere apocalittico, che cioè preconizzavano la fine dei tempi: le Profezie di Malachia, alcune opere  di Gioacchino da Fiore o anche il meno noto Libro delle immagini dei papi sono solo alcuni esempi. 

Le strade e le piazze delle città erano percorse da predicatori raminghi che annunciavano la fine del mondo, e nessuno si dava troppo disturbo per loro; al contrario, si riteneva che per gli uomini fossero vantaggiosi simili idee, perché il pensiero di dover presto rispondere a Dio per i propri peccati potesse ispirare il desiderio della conversione e della penitenza.

Eppure, Arnaldo il Catalano fu gettato in prigione per il suo "Trattato sulla venuta dell'Anticristo", un'opera che, vagliata in seguito dalla Santa Sede, non rivelò di contenere nessuna idea eretica.

Dietro suggerimento di personaggi francesi importanti, fra i quali sorprendentemente troviamo Guglielmo Nogaret (allora solo un avvocato di grido vicino all’ambiente di corte), il Catalano chiese di appellarsi al papa:

Desidero in effetti sottoporre la mia opera sulla venuta dell’Anticristo all’esame e al giudizio della Sede Apostolica, e mi pongo sin da ora sotto la sua protezione.

(da A. Paravicini Bagliani, Bonifacio VIII, Torino, Einaudi, 2003)

Friday, 25 July 2014

Bonifacio VIII e Arnaldo il Catalano



Il 9 luglio 1299 papa Bonifacio VIII era in procinto di lasciare Roma per intraprendere un lungo viaggio destinato a toccare la Francia e l’Inghilterra, per vedere di persona i due sovrani, acerrimi nemici, che si stavano affrontando in una guerra devastante per entrambi i paesi. 

Era convinto che incontrarli fosse il solo modo per riappacificarli, e suggeriva una soluzione pacifica e “romantica” al lungo conflitto franco-inglese.

Poiché si combatteva per il possesso di un vasto e ricco feudo conteso, la Guascogna, si sarebbe potuto risolvere ogni cosa tramite un doppio matrimonio. 

Filippo IV aveva una giovane figlia, Isabella, che gli somigliava molto, essendo celebrata come “la Bellezza delle Bellezze”; anche la sorellastra Margherita era una donna molto attraente, nota come “la Perla di Francia”. 

Edoardo II, a detta del papa, essendo rimasto vedovo poteva sposare Margherita, mentre il giovane Edoardo di Carnarvon, erede al trono di Londra, avrebbe a suo tempo impalmato Isabella. Considerando il feudo conteso come dote per le due donne, che avrebbero dovuto in ogni caso versare alla corona inglese una ingente somma come dote, si sarebbe sistemata la spinosissima questione.

Purtroppo Bonifacio VIII non poté partire, perché cadde in uno stato di malattia che secondo le fonti lo condusse vicino alla morte. 

Si riebbe solo perché, proprio in quei mesi, arrivava a lui un medico catalano in fuga da Parigi, dove aveva subito una terribile esperienza a opera dell’Inquisizione. Era Arnaldo da Villanova, di cui il papa dirà così:

Ho incontrato un Catalano che fa miracoli, cioè maestro Arnaldo da Villanova. Egli mi ha fabbricato dei sigilli d’oro e una cintura che porto su di me, e che mi preservano dal dolore della pietra [calcoli renali] e da numerosi altri dolori. Egli mi ha rimesso al mondo.

(da A. Paravicini Bagliani, Bonifacio VIII, Torino, Einaudi, 2003)

Monday, 21 July 2014

Le origini della magia



La generazione perversa che eresse la Torre di Babele, secondo la tradizione cabbalistica, abusò del potere di questa lingua originaria e divina in senso magico: voleva cioè imitare per scopi non sacri il potere creatore di Dio, e carpire un "Nome" che fosse utilizzabile in tutte le occasioni. 

La confusione delle lingue si attuò nel progressivo oblio di questo idioma sacro, sicché fu necessario inventare altri nomi, stavolta profani e quindi in qualche modo inerti, per tutte le cose.

Secondo il celebre cabalista spagnolo Avraham Abulafia, vissuto alla fine del secolo XIII, solo il mistico è capace di fondere tutte le lingue profane tra loro ritrovando la lingua santa: però mette in guardia gli uomini, perché immischiarsi in queste pratiche senza possedere la necessaria guida spirituale potrebbe provocare esiti pericolosi e addirittura demoniaci.

I profeti, secondo Abulafia, posseggono questa capacità di ritornare al linguaggio divino perché in qualche modo sono stati scelti da Dio.

Ma chi si permette di intervenire sull'opera della Creazione cercando di manipolare forze sacre che non conosce, cade nella seduzione della magia, che in pratica è un uso illecito di quel potere donato a uomini eletti per guidare gli altri verso la salvezza.

(da G. Scholem, Il Nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio, Milano 2005)

La Lingua silenziosa di Dio


Secondo la mistica ebraica, la lingua originaria degli uomini, quella cioè che veniva parlata nel Paradiso terrestre prima del peccato, possedeva ancora un carattere sacro: aveva un legame immediato e diretto con l'essenza delle cose che voleva esprimere. 

In qualche modo, dentro di essa risuonava ancora l'eco del linguaggio divino, quello del Creatore. 

Alcuni cabalisti pensavano che la lingua originaria, cioè l'ebraico, fosse del tutto priva di concetti profani, poiché non era stata concepita per un uso profano. 

Nello Zohar, uno dei maggiori trattati della mistica ebraica, si parla di questa "voce silenziosa" che in certi particolari casi può diventare udibile. 

I suoni primordiali inarticolati che vengono emessi dal corno di ariete che era suonato ritualmente durante la festa del Capodanno, lo shofar, si ritenevano contenere virtualmente tutte le espressioni della lingua sacra, ed erano pensate come la voce della Creazione. 

Per questo motivo, secondo alcuni maestri la voce dello shofar conteneva in sé tutte le preghiere per il nuovo anno che viene.

(Da G. Sholem, Il Nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio, Milano 2005)

Saturday, 19 July 2014

L'Albero della Vita



Alle radici del pensiero cabalistico esiste l'idea che Dio abbia costituito ogni cosa esistente usando dieci Parole potenti, che possono essere anche dette Pensieri o Forze, poiché nella cultura ebraica la parola ha sempre  un aspetto divino, dunque è potenzialmente capace di creare dal nulla.

Il termine davar ("parola") possiede infatti anche il valore di "cosa".

Il nome delle Parole è Sephirot (singolare Sephira), e sono descritte nell'antichissimo trattato Sefer Yesira, ovvero "Libro della Creazione", datato dagli esperti fra il II e il III secolo dell'èra cristiana.

Su questo libro enigmatico, dal linguaggio mistico e spesso anche un po' sibillino, si fondarono gli studi cabalistici dei secoli a venire.

Le Sephirot vennero descritte come ventidue forze, tante quante sono le lettere dell'alfabeto ebraico, legate fra di loro da correnti e rapporti precisi a formare un disegno simile a un albero: è l'Albero della Vita di cui tratta anche la Bibbia, quello che si trova nel Paradiso terrestre.

Dall'uso sapiente della forza racchiusa in queste Parole deriva, secondo il pensiero cabalistico, la capacità di ottenere precisi risultati.